Memorie di un Assassino (Memories of Murder): La Recensione del Film



Regia: Bong Jon-ho

Trama


In un villaggio, alla periferia di Gyunggi, viene rinvenuto il cadavere di una giovane donna. Le indagini però risultano più complicate del previsto e la polizia avrà non poche difficoltà.


Recensione


Prima di divenire celebre in tutto il mondo con il meraviglioso capolavoro che è Parasite, e prima di renderci passeggeri su di un treno che gira intorno ad una terra arida e gelida, il regista Sud-Coreano Bong Joon-ho faceva già parlare di sè nei primi del 2000, realizzando un opera maestosa e giuntaci a noi solamente negli ultimi anni.

Basandosi su di un opera teatrale, anch'essa tratta da un vero fatto di cronaca nera, il regista riesce, con la tipica narrativa del cinema Coreano fatta di scene dalla enorme drammaticità, di cui consiglio la visione in lingua originale, esaltate da un malinconico quanto maestoso comparto musicale, a raccontare la longeva caccia all'uomo definito come il primo killer seriale riconosciuto dallo stato.


Sapiente è la mano di quello che ormai è uno dei più enormi talenti cinematografici di questo millennio, che anche in quest'opera, cattura l'attenzione dello spettatore grazie ad una rete investigativa portata avanti dai goffi poliziotti locali, le cui metodologie approssimative e poco ortodosse non portano mai a risultati concreti, se non quelli di incolpare ingiustamente chiunque sembri avere un qualche minimo collegamento ai fatti, pur di chiudere in fretta il caso.


Una narrativa ben strutturata è suddivisa in un arco complessivo di 120 minuti, perfetti per ciò che deve essere descritto, con un ritmo che presenta intensi momenti di tensione il cui compito è quello di smorzare la pesantezza del susseguirsi di eventi, dove pesante non è un aggettivo che indica tanto una eccessiva lentezza narrativa, ma anzi esso funge da importante aspetto nello evidenziare un più profondo stato d'animo. Perchè la pesantezza dell'animo, della coscienza è ciò che lo spettatore è portato a provare, grazie ad un legame empatico che come un ponte, creato dal regista, collega noi ai detective.

Nonostante gli anni passino infatti, le forze dell'ordine non sono in grado di stabilire nè un identikit nè una possibile prova che riesca, in maniera concreta, ad avvicinarli all'uomo che da anni stanno braccando, con false piste ed improbabili sospetti, l'incapacità di fermare l'atroce catena di efferati delitti, che colpisce le giovani donne del paese, diviene il pesante fardello che gli uomini di giustizia devono portare sul loro cuore, arrivando anche al limite della pazzia.


Una pellicola dalla grande potenza cinematografica si apre dinanzi a noi con una fotografia satura e visivamente d'impatto, la cui struttura strizza l'occhio a grandi opere d'oltreoceano come Se7en, Il Silenzio Degli Innocenti e Zodiac.

Un analisi dell'animo umano diviene, infine, la punta della freccia scoccata da Joon-ho, in grado di colpire il centro del bersaglio al meglio, analizzando questo elemento come chiave di lettura per una storia che sembra avere proprio l'umanità come fulcro principale. Un umanità che dovrebbe essere parte intrinseca di ogni persona, ma dove in alcuni sembra esser corrotta, mentre a chi assiste a simili atti di ingiustificata malvagità non resta altro che soccombere a quella stessa corruzione, o cercare un modo di sopportare e di non sprofondare nel dolore e nel fallimento.

Giudizio complessivo: 8.5

Buona visione,



Trailer



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