Il Mulino Delle Donne Di Pietra: La Recensione del Film



Regia: Giorgio Ferroni

Dopo i campanili, ho sempre trovato i mulini affascinanti. Stanno in luoghi un po’ isolati, pieni di ingranaggi e soprattutto sono scenari perfetti per racconti bizzarri, tipo il diavolo che si offre di far girare il vento a tuo favore in cambio dell’anima.

Probabilmente avrei dovuto drogarmi come tutti gli altri, oppure iscrivermi a qualche circolo di Campanari Anonimi.

In Italia, molto prima del Mulino Bianco, la Premiata Ditta Gotico sfornava prelibatezze per i palati cinefili, italici ed esteri. L’inaugurazione ufficiale è nel 1960 col capolavoro baviano La Maschera Del Demonio, seguito dal coevo Il Mulino Delle Donne Di Pietra, che nel genere sono due capisaldi: per capirci, se il primo è il Soldino dell’Horror Nostrano, il secondo è il Tegolino, che vanta anche di essere il primo horror italiano a colori.


Lo studente Hans si reca dal professor Wahl, scultore e proprietario del mulino del titolo, dentro il quale c’è un macabro carillon con statue a grandezza naturale di varie eroine della storia, che si aziona tramite un meccanismo interno, assieme ad una musichetta da brividi: ecco l’attrazione perfetta per i vostri bambini.


Hans conosce Elfi, la figlia del professore, la quale lo avverte di starle lontana perché la pupa è molto malata. I due piccioncini però tubano ed Elfi ha un coccolone che la lascia stecchita sotto gli occhi sbigottiti di Hans. Il giorno dopo però la ragazza è viva e vegeta. Vampirismo? Acquetta. Mad doctor? Fuocherello. Di sicuro, padre e figlia non sono la classica famiglia del Mulino Bianco

Ferroni si accoda al Gotico per la prima volta – la seconda e ultima sarà con La Notte Dei Diavoli, canto del cigno del genere – confezionando un pellicola elegante e piena di atmosfera grazie al technicolor fatto di luci azzurre e violette che dipingono bene gli interni del mulino e valorizza gli oggetti di scena, dove tra busti e statue emerge la scultura dell’angelo con la croce che dà all’atelier di Wahl un’atmosfera da cripta più che da disegno.


Avrete intuito che il carillon delle donne ha un ruolo chiave, ma vi dirò solo che diventerà il vero protagonista dei fotogrammi finali in una scena che vi racconterò citando Neil Young: Better burn out than fade away

Come tematiche il film guarda al contemporaneo Occhi Senza Volto, ma le declina in modo tutto italico, dove le donne sono sia vittime che carnefici dal cuore di ghiaccio…Anzi, di pietra.

Buona merenda a tutti; e anche buona visione.


Trailer



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