The Baby of Mâcon: La Recensione del Film



Regia: Peter Greenaway

Fino a poco tempo fa, conoscevo Peter Greenaway solo di nome e di fama, ma non avevo ancora avuto il piacere di godere di qualche lavoro partorito dalla sua mente geniale. E niente, il rammarico per essermi approcciato solo adesso al suo cinema è appena salito alle stelle.

The Baby of Mâcon non è il primo film di Greenaway, e probabilmente neppure il più famoso (Il Cuoco, Il Ladro, Sua Moglie e L'Amante credo si aggiudichi il premio), ma ritengo che aver cominciato con questo sia stata la scelta giusta.

In breve, ci troviamo a metà del 1600 a Mâcon, una città colpita da carestie e sterilità, dove un masque rappresenta la storia di un bambino con presunte proprietà divine, che ben presto inizia ad essere venerato insieme alla sorella, spacciatasi per la madre vergine. Quando il trucco sarà smascherato, saranno volatili per diabetici (potevo scrivere saranno cazzi, ma credo non sarebbe stata una scelta felice visti gli sviluppi futuri).


La trama appare quindi piuttosto semplice, ma è il modo con cui viene messa in scena a rendere il film qualcosa di assolutamente geniale e fuori dagli schemi. Mantenendo fede al suo stile, Greenaway costruisce la storia attraverso una rappresentazione di stampo puramente teatrale, con una netta separazione tra attori e pubblico e con tutto ciò che abitualmente compare su un palcoscenico.


Costumi eccezionali ed ambientazioni ricreate alla perfezione sono il manifesto della cura maniacale con cui il regista dirige l’orchestra, aiutato sicuramente da una prova recitativa di altissimo livello. Non mancano poi svariate finezze tecniche, unite ad una grandissima attenzione ai dettagli, con piani sequenza impeccabili, inquadrature quasi sempre larghe per dar sempre evidenza del fatto che ci troviamo su un palco e colori che si focalizzano quasi unicamente tra rosso (sangue), nero (morte) e giallo-oro (prosperità).

The Baby of Mâcon si mantiene sempre in bilico tra finzione e realtà, tra dramma ed ironia, in un contesto quasi assurdo, dove gli spettatori “attori” non paiono rendersi conto della violenza (vera) che ad un certo punto non si limita più all’effetto scenico. Lo spettatore, questa volta intendo quello dietro lo schermo, continuerà anch’esso a rincorrere i diversi scenari a cui si trova davanti, probabilmente restando confuso ed ammaliato allo stesso tempo dinanzi al mix di sensazioni che inevitabilmente si verranno a creare.


Un film oltraggioso, volgare, irriverente, blasfemo, disgustoso e senza dubbio folle e in alcuni momenti quasi esasperante, come nelle fasi iniziali con quel “He’s Coming” che quasi ti fa venire voglia di prendere a pugni lo schermo. I temi trattati sono molteplici, in molti casi pure parecchio scomodi, con riferimenti neanche troppo velati alla pericolosità di un uso eccessivamente improprio e fanatico della religione. E a tal proposito è d’obbligo una considerazione; abitualmente io prediligo l’intrattenimento alla tecnica, perché puoi anche mettere un unico piano sequenza di due ore o girare in 4:3, ma se il film non trasmette nulla per me sei bocciato. E qui, nonostante per più di metà opera assistiamo ad inni pseudo religiosi e a dubbi cerimoniali, in aggiunta a tutto ciò che di buono ho citato in precedenza, resti rapito per due ore in totale ammirazione, catturato dalle immagini ed ammaliato dalla musica.

"Signore, ringrazi che c'era la musica, la maggior parte di noi muore in silenzio".


La parte finale poi colpisce davvero duramente, con le sorti toccate alla sorella e al bambino che resteranno impresse nella memoria piuttosto a lungo e con quel lungo applauso del pubblico con annesso inchino degli attori che ringraziano che ancora mi fa chiedere a che cazz ho assistito.

Qualcuno lo chiama meta-cinema, io onestamente non lo so che cinema sia, ma so per certo che mi piace.

Film non per tutti, ma per quelli che sapranno apprezzarlo, sarà una giornata migliore.

Masterpiece.

Enjoy


Trailer



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