Il Tribunale Delle Anime



Autore: Donato Carrisi 

RECENSIONE

Dopo aver terminato il Ciclo di Mila Vasquez (che per altro pure qui viene citata ad un certo punto del racconto) e aver letto La Casa delle Voci,  era giunta l’ora di iniziare il Ciclo di Marcus e Sandra, partendo proprio con Il Tribunale delle Anime, romanzo thriller in puro stile Carrisi che, pur avendomi lasciato qualche leggera perplessità, si inserisce di diritto tra i lavori che mi sento di consigliare agli amanti dello scrittore di Martina Franca e più in generale agli appassionati del genere.

L’inizio è come sempre avvincente, con la vicenda della ragazza scomparsa che catapulta immediatamente il lettore all’interno della storia, senza troppi inutili preamboli, e che si candida a diventare uno dei punti chiave dei suoi libri, dal momento che spesso ci ritroveremo dinanzi a figure di sesso femminile finite non esattamente benissimo


L’interesse viene poi mantenuto vivo, oltre che dall’evolversi delle varie situazioni, dalle storie dei due personaggi principali, ovvero Marcus e Sandra come si intuisce facilmente dal nome del ciclo ad essi dedicato. Due storie totalmente opposte, ma accomunate dalla costante ricerca di una verità potenzialmente scomoda e decisamente pericolosa, che alla fine vedrà incontrarsi i due protagonisti nel momento più opportuno (per almeno uno dei due).

L’incastro delle vicende in cui sono coinvolti, riesce a spezzare in maniera piuttosto efficace capitoli che qui appaiono decisamente lunghi (scelta che abitualmente non gradisco), e che vengono ulteriormente alternati a ciò che è accaduto in Ucraina molti anni prima. In un primo momento, questo ping pong tra Pripyat e Roma (bello tra l’altro avere un riferimento di dove ci troviamo, al contrario di ciò che accade nell’altro Ciclo), crea un intreccio che può apparire non semplicissimo da seguire, ma che alla fine porta a far quadrare i conti piuttosto chiaramente , mettendo in luce l’abilità narrativa di Carrisi e una scrittura sempre efficace e piacevole da leggere, soprattutto nelle varie descrizioni presenti.

"Come un parassita silenzioso, il male era cresciuto nelle metastasi dell'odio e del rancore, trasfigurando l'ospite."

Carrisi inoltre sfrutta qui il concetto della penitenzieria (a me piuttosto sconosciuto, ma non per questo non meritevole di essere approfondito) per sfoggiare significative riflessioni sull’indole umana, sull’utilità del perdono o del castigo e, più in generale, su cosa distingua il Bene dal Male e quanto sia necessario il secondo, per poter arrivare a perseguire il primo.

Quando poi tutto sembra indirizzato verso una tranquilla fase conclusiva, ecco l’altro punto forte dello scrittore, quell’abilità di rivoltare la storia come una frittata, minando ciò che avevamo appena appreso sui personaggi ed aggiungendo ulteriori interrogativi che, probabilmente, andremo fugando nei due sequel (almeno fino ad’oggi) usciti negli anni seguenti.

Peccato solo per alcune situazioni che francamente ho trovato lievemente forzate, seppur necessarie per lo svolgimento della vicenda, come per esempio i numerosi indizi lasciati dal marito di Sandra che, nonostante la donna possa assolutamente considerarsi un valido agente di polizia e ancora prima una moglie scrupolosa, ritengo non siano di così immediata comprensione, come invece ci viene fatto intendere durante la lettura.

Il buon finale riesce tuttavia a scacciare indietro tali dubbi, “obbligando” il lettore rimasto indietro a colmare la lacuna e ad approcciarsi a due lavori seguenti, Il Cacciatore Del Buio e Il Maestro Delle Ombre.

Giudizio complessivo: 8
Enjoy,



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