Licorice Pizza: La Recensione del Film



Regia: Paul Thomas Anderson

Ammetto che la pizza all’ananas la mangerei, giusto rinforzata col gorgonzola per dare quel bilanciamento dolce/salato e poi perché la pizza per me non è una triste Margherita, ma un allegro trogolo per porconi. Non le patatine fritte sopra, però: ho una dignità. 

In attesa di decidermi di – e soprattutto se - sedermi al tavolo della pizzeria che la serve qui da me, digerisco ‘sta rotella di liquerizia a firma di Paul Thomas Anderson dopo il lisergico Vizio di Forma.

Encino, California, 1973. Lo sbarbatello quindicenne Gary incontra la sgallettata venticinquenne Alana durante la foto di fine anno e ne rimane colpito. Ci sono dieci anni di differenza fra loro, non può funzionare, è assurdo come il suo mestiere di baby attore che vorrebbe buttarsi nel business dei letti ad acqua. Lei invece è in cerca di qualcuno che la sganci dalla famiglia ebrea, quell’opportunità che (non) capita se ti aggrappi a baby attori atei che non piacciono a papà osservante, attori sbarellati, e candidati politici che non possono fare coming out. E’ una relazione assurda, però Gary e Alana collaborano, si sgridano, si ingelosiscono, si incazzano e si scazzano. Come finirà lo potete intuire.


La liquerizia di Anderson ha il sapore del ricordo, il gusto dell’estate californiana – posto topico del regista - e la fotografia luminosa di certe foto del passato, quelle che ti evocano subito: vacanze, momento spensierato e felice. Sole, mare, la tipa che ti piace o magari ti piacerebbe. Alana ha il sorriso caldo e il naso ebreo, è una bellezza spigolosa, da antilope. Gary (il figlio del compianto Philip Seymour Hoffman) è un tracagnotto, col ciuffo frangione che dopo i quindici anni – ma anche prima se sei già smaliziato - pensi solo a tirare indietro per far spazio alla fronte brufolosa; per tutto il resto c’è il Topexan. Il fatto di aver scelto due attori così e non due fighetti, lo rende più veritiero e più vicino allo spettatore.


Il film è la versione romantica di C’Era una Volta ad Hollywood, ma mentre Tarantino ti srotola una storia gonfiandola coi suoi manierismi, Anderson fa una serie di istantanee, delle polaroid estive, quelle che poi accantoni in una scatola da scarpe e che Facebook ti ripropone come ricordo felice e imbarazzo tuo dieci anni dopo. Particine per Sean Penn, Tom Waits e un incredibile Bradley Cooper – confesso che ho strabuzzato gli occhi quando ho letto i suoi nomi nei credits – nei panni di Jon Peters, il fidanzato di Barbra Streisand e malato di fig…Bravissimo!


Non è un film per tutti e la durata di due ore può scoraggiare, ma se lasci scorrere il suo flusso sulla corrente degli eventi, trovi il mood giusto per apprezzare la storia, accompagnata da una colonna sonora ad hoc, fra Doors, Donovan, Sonny & Cher e tanti altri. Personalmente mi ha incollato alla sedia la scena in cui Alana guida il camion – l’unica in grado - senza carburante, nella notte fra le colline di Encino, cercando di portare in salvo i minorenni che ha a bordo.

Lunga la rotella, stretta la via, mangiate la vostra, che io ho ricordato la mia.

Buona visione, nostalgici.


Curiosità: Alana Hain e le sue sorelle che compaiono nel film sono le membri della band Hain, mentre la madre delle ragazze, è stata l’insegnate del regista nella vita scolastica. Anderson ha fatto bene i compiti.



Trailer



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