L’uomo Che Uccise Don Chisciotte: La Recensione del Film



Regia: Terry Gilliam


Trama


Toby, regista e pubblicitario, torna in Spagna per girare il suo nuovo lavoro.

Alla ricerca d’ispirazione, capiterà nel paese dove 10 anni prima girò il suo primo film: L’uomo Che Uccise Don Chisciotte.



Recensione


Nacqui per favore del Cielo in questa età di ferro per far rivivere quella dell’oro: quegli son io cui son riserbati i pericoli, le grandi imprese, gli strepitosi avvenimenti.

[ -Miguel De Cervantes-]


Con circa queste parole, estrapolate dal famoso libro di fama mondiale, la pellicola si apre ed incomincia uno dei viaggi più strambi che mi sia mai capitato di vedere.

Con una gestazione durata ben 25 anni, finalmente il famoso regista Terry Gilliam (Brazil, L’Esercito Delle 12 Scimmie, Paura e Delirio a Las Vegas) riesce a farci dono e a portare su schermo la sua visione dell’iconico personaggio creato da De Cervantes.

Siamo nella calda e soleggiata Spagna dei giorni nostri. Un giovane regista, Toby (Adam Driver) si trova sul set di uno spot pubblicitario che vede come protagonista proprio Don Chisciotte; ma la produzione non procede come previsto e la mente del creativo e coccolato artista inizia a dubitare della sceneggiatura, nonché del lavoro affidatogli.


Una serie di eventi bussano però alla vita di Toby che, in cerca di nuove idee, si reca in un piccolo paesino della zona dove, 10 anni prima, girò a scopo scolastico proprio una pellicola dedicata al folle cavaliere; ma il tempo passa e le cose cambiano.

Tra passato e presente, inizia qui un viaggio che vedrà incrociare il destino sia del nostro protagonista, sia del vecchietto che, all’epoca, interpretò il ruolo di Quixote (Jonathan Pryce).

Inizialmente braccato dalla polizia a causa di un malinteso ed in seguito perso nelle deserte lande spagnole, a Toby non resta altro che indossare le vesti di Sancho Panza ed assecondare quell’uomo che, da ex calzolaio, ancora oggi vive coscienzioso di essere il prode eroe che combatte giganti e salva fanciulle.


Ma il viaggio è lungo ed i veri problemi nascono quando, anche nella mente del regista, la realtà inizia a confondersi con la fantasia.

All’interno di una così vasta location, Terry Gilliam ci immerge nel contesto di un mondo che, seppur influenzato dalla realtà moderna, conserva ancora sia nelle strutture medievali, sia nello spirito folkloristico della popolazione locale, quei tratti onirici che molto si discostano dalla vivacità del caos delle grandi metropoli.

D’un tratto i sogni divengono uno dei più fondamentali elementi della nostra storia; più volte difatti Toby si perderà tra visioni ed allucinazioni ad occhi aperti, scoprendo una qualche sorta di collegamento spirituale con il “vecchio pazzo”, ed iniziando sempre più a vedere il mondo “a modo suo”.

Per quanto Adam Driver dimostri al meglio di essere non solo il volto principale del film, ma anche un grande attore dalla vasta versatilità, le luci della ribalta gli vengono sottratte dall’ingresso in scena di Jonathan Pryce.


L’attore, con il suo ruolo, regala una interpretazione talmente audace da far sembrare vero qualsiasi cosa egli sia convinto di vedere. Così come per il personaggio di Toby, ad un certo punto anche a noi, al di là dello schermo, si paleserà nella mente il dubbio che forse questo strambo uomo possa essere davvero il vero Don Chisciotte. Pryce riesce a creare un legame empatico incredibilmente forte facendoci desiderare sempre più la sua presenza su schermo, e di udire quell’antico idioma e quei nobili modi che rendevano i cavalieri tali.

Ma la pellicola propone, per forza di cose, anche divertenti scambi di battute e simpatiche gag, soprattutto per le disavventure che capitano al povero Toby, rendendo la visione un tantino più leggera e scorrevole, rimanendo comunque molto diluita e sicuramente non esente da difetti.

Ma oltre alle affascinanti sequenze di cavalcate verso il tramonto, sul sottofondo di armoniose ed apprezzatissime musiche sempre inerenti al contesto, Gilliam riesce ad inserire, tra le pagine di questa appariscente e colorata creatura, tante interessanti metafore più volte enfatizzate.

Il nostro Toby diviene, difatti, “la vittima” per antonomasia del mercato cinematografico/televisivo; corrotto dal lusso e dalle attenzioni di chi ha realmente poco interesse in lui, se non per sfruttare il suo talento. La creatività, il genio, divengono i pilastri di una mente in un mercato che, più e più volte, abbatte la struttura che forma quel tempio da cui derivano le idee, le aspettative, i sogni. Il giovane regista infatti è, apparentemente, costretto per motivi di fama e di danaro a svolgere un lavoro che non gli dà ne soddisfazione ne libertà creativa, disseminato di dubbi su se stesso e sulle sue reali capacità.

Il “viaggio” diviene metafora di un percorso tanto fisico quanto spirituale.

Toby, per andare avanti e trovare la sua strada, deve rammentare le esperienze che lo hanno formato, riscoprendo magari la passione di un giovane studente innamorato del cinema e non ancora mentalmente mutilato.


Ma in questo viaggio non è certo solo, poiché il folle Don Chisciotte gli diviene prima salvatore, poi guida ed infine mentore; passando davanti ai nostri occhi dal ruolo di personaggio secondario a sommo protagonista.

Il “finale” rappresenta il culmine di giorni e giorni di cammino, tra deliri e inutili tentativi di riportare il simpatico e vegliardo vecchietto alla realtà, confluendo in esso tutto ciò che Toby ha dovuto affrontare.

Anche se forse non ha avuto giganti contro cui misurarsi, il giovane concretizza la sua visione di vita, ispirato dal prode eroe immaginato da De Cervantes, riuscendo infine a ritrovare il barlume di coraggio per riconquistare la propria libertà, non tanto fisica quanto intellettuale, libero dalle catene che opprimono l’uomo moderno.

In un incredibile esperienza audio/visiva, L’uomo Che Uccise Don Chisciotte rappresenta quell’opera estremamente intima in grado, con i suoi messaggi e dilemmi esistenziali, di cogliere lo spettatore il quale, terminata la visione, si troverà sicuramente incerto su alcuni accadimenti, ma tremendamente colpito dalla irrealistica quanto realistica avventura che per circa 130 minuti, lo ha intrattenuto.

Pensare che il vecchio calzolaio, con qualche rotella fuori posto, sia realmente o meno il prode ed “immortale” cavaliere che correva senza timore contro i mulini a vento, resterà solamente a voi dedurlo, attraverso l’esperienza che il visionario Terry Gilliam ha voluto raccontarci.

Giudizio complessivo: 7

Buona visione,


Trailer



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