Macabro


Regia: Lamberto Bava

Macabro rappresenta di fatto l’esordio in regia di Lamberto Bava, uno dei più classici esempi di “figlio d’arte”, dal momento che il padre non è altro che quel gran maestro di Mario Bava, sul quale mi dilungherei all’infinito (chi non ha ancora visto Reazione A Catena, provveda subito se vuole poter parlare di horror avendo la coscienza pulita), ma non lo faccio solo per non togliere spazio al giovane rampante che avanza e che purtroppo però non riuscirà ad avvicinare le vette raggiunte dal progenitore qualche anno addietro.

È chiaro che la strada non era facile, in primis proprio perché quando si ha un padre “ingombrante”, si è maggiormente sotto l’occhio del ciclone (a proposito che cazz di fine ha fatto Maradona Jr? 😄), ma soprattutto perché quando il suddetto padre ha inventato un sottogenere dell’horror (a proposito siete andati a vedere Reazione A Catena nel frattempo?), non è che puoi fare molto di più.

Che poi questo film non sarebbe manco il vero esordio, dato che esistono un paio di lavori diretti a 4 mani proprio con Bava senior, ma qui Lamberto riesce a ritagliarsi il suo spazio, regalandoci probabilmente il suo miglior lavoro (anche se, all’onor del vero, i 2 “Demoni” non demeritano affatto, ma me li dovrei andare a rivedere per dare un giudizio più sicuro e onesto perché è passato un bel po’ di tempo dall’ultima volta).

In questo caso la storia ruota attorno alla signora Jane Baker che, dal momento in cui decide di intrattenersi con il suo nuovo amante, darà vita ad una serie di eventi che culminerà con…VE LO DICO DOPO, in un sapiente mix di horror, thriller e giallo che, nonostante alcuni cali che potrebbero far abbassare la palpebra dei meno pazienti, coinvolgono lo spettatore fino al bellissimo finale che…VE LO DICO DOPO.


Il coinvolgimento, come accennavo poc’anzi, non è conseguenza di un ritmo forsennato o di un’azione spinta, anzi la lentezza forse è uno dei tratti più marcati della pellicola. Ma non è una lentezza eccessivamente fastidiosa (un po’ però sì, concedetemelo), perché il regista riesce a focalizzare l’attenzione su altri punti di forza.

E in questo lavoro probabilmente si sente molto la mano di Pupi Avati, ufficialmente accreditato solo di parte della sceneggiatura se non erro, ma che a mio avviso ha avuto voce in capitolo su molto altro (a proposito, dopo che finalmente avete visto Reazione A Catena, adesso è il momento de “La Casa Dalle Finestre Che Ridono”, poi un giorno mi ringrazierete). 

Discreta la prestazione recitativa, in particolare si distingue il duo madre/figlia (le pseudo sconosciute Bernice Stegers e Veronica Zinny, in quella che risulta essere una vera e propria sfida a chi sbrocca di più; sfida che onestamente non saprei proprio dire chi se l’aggiudica.


L’atmosfera che si viene a creare, in particolare all’interno della casa, è molto cupa e prende bene, si respira proprio quell’aria malsana che ben si sposa con la vicenda. A ciò si aggiungono qualche spiffero di tensione, discretamente bilanciata durante lo svolgimento della faccenda, alcuni effettacci apprezzabili e un paio di scene apprezzabili che non vi spoilero.


Poi vabbè è chiaro, qualche incongruenza la si trova sparsa qui e là e in alcuni casi la sceneggiatura subisce più di un attacco alla sua credibilità, anche se nel complesso non ci possiamo lamentare. In fondo il tema centrale è uno solo e attorno a quello viene ricreato tutto il resto.

E poi, come accennavo prima, c’è il bellissimo finale che…SORPRESA NON VI DICO UN CAZZ, andatevelo a vedere e giudicate voi. Personalmente io adoro questo tipo di conclusioni, di quelle che non ti aspetti come per esempio in Reazione A Catena (toh chi si rivede, giusto per restare in tema) oppure, cercando qualcosa di più cazzaro e quindi ancor più simile a questo film, ricordando quello di Buio Omega. Comprendo tuttavia che a molti, data la parvenza di serietà che caratterizza tutto il film, può non piacere (ma fatevi una risata e non pensateci più dai! 😄).

Giudizio complessivo: 7.5
Enjoy,






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