Racconti Immorali: La Recensione del Film



Regia: Walerian Borowczyk


Io: Ma se ti faccio la recensione de Racconti Immorali, poi mi banni?

Boss: Che roba è?

Io: un capolavoro erotico anni’70

Boss: Azz, un pornazzo. Ma abbiamo recensito anche Rocco Siffredi, quindi non temiamo nulla. Che la F…A, ehm volevo dire la Forza sia con te.


Oggi presentiamo un petit croissant dell’erotismo, Racconti Immorali, diretto da Walerian Borowczyk, l’equivalente polacco di Tinto Brass e che da qui in avanti chiameremo il Boro, un po’ per confidenza, ma soprattutto per non inciampare continuamente in quel rovo di consonanti nel cognome (che dovrebbe pronunciarsi come -Fcik) che ci fa sentire tutti come Fantozzi con Escalabar, Escansala, Eschizibur…Exalibur, Imbecille!

Lo ammetto, tranquillamente: il film è nella mia top ten sin da quando lo scippai a qualche amico sottoforma di VHS, all’epoca dei classici de L’Espresso, una sfilza di custodie rosse cartonate e titoli che sembravano promettere nudità, languori ed epidermidi, come Le Mie Notti Sono Più Belle Dei Vostri Giorni, La Bestia e via scollacciando.

Il film si apre con la massima di La Rochefoucauld: “L’amore più che per sé stesso piace nelle forme in cui viene manifestato”, che è poi la chiave di volta di tutto il film, composto da quattro episodi.

La Marea. Un cugino educa la cugina Julie alle gioie del sesso orale, insegnandole a far coincidere il ritmo col crescere della marea. L’episodio migliore, che ho adorato fin da subito, con l’atmosfera marina della scogliera e il suono delle onde a fare da parte integrante alla bellezza di Julie (Lise Danvers) che da par suo ha dei primi piani da urlo con gli occhi azzurri da cerbiatta e un viso di porcellana incorniciati da una massa di capelli scuri, che pare una pittura. Per non parlare della sua bocca: denti candidi e labbra carnose che formano una “O” perfetta, quando il dito del cugino ci sfrega contro, stuzzicandole. Guarda caso, questa immagine sarà il manifesto del film. Lo vogliamo dare un aggettivo aulico all’episodio? “Panico.”


Teresa Filosofa:1890. Viene chiesta la beatificazione di Teresa H., pia fanciulla violentata da un vagabondo. Nel flashback scopriamo che Teresa viene rinchiusa per punizione in un ripostiglio, assieme ad un libretto di Teresa Filosofa e un cetriolo, dove si abbandonerà ad un delirio mistico ed erotico, fatto da piaceri solitari. Episodio dove il Boro mette in scena una serie di rituali e di attenzioni al dettaglio e agli oggetti stipati ovunque, dal negozio di paramenti sacri al ripostiglio traboccante di tappeti e arazzi. Anche se non ho mai capito come fa il cetriolo a finire a fette perfette: proprietà dell’osteria numero venti? Il finale con l’occhio bovino della mucca che assiste allo stupro è beffardo e geniale allo stesso tempo. Aggettivo: Barocco.


Erszébet Bathory. Nel 1610 la celebre contessa, col fedele paggio occhiceruleo, gira la provincia in cerca di vergini per fare il bagno nel loro sangue. Il più famoso dei tre, che con geniale scelta di casting affibbia il ruolo della sanguinaria contessa a…Paloma Picasso, figlia di quel Picasso. Capelli corvini con doppia crocchia, sguardo imbronciato – e primi piani degli occhi che bucano lo schermo - peluria sul labbro, è perfetta per la versione sanguinaria di uno spot di Dolce&Gabbana. Anche se quando il paggio ci rivela la sua vera identità di ragazza, nel matrimonio saffico con la Bathory, le scippa un po’ la scena. Boro cura in maniera perfetta gli interni e i giochi delle contadine abbagliate dalla ricchezza della contessa. Aggettivo: Perfetto.


Lucrezia Borgia. Mentre la Lucrezia si intrallazza sia col fratello (e cardinale) Cesare e il padre pontefice, Savonarola, con mascellone da Celentano, predica contro i costumi corrotti della Chiesa. Ultimo episodio, forse quello più didascalico, e più sbilanciato verso il profano. Però il canto sacro alla fine col battesimo del frutto del peccato ogni tanto me lo canticchio. Aggettivo: Profano.

Boro dirige, sceneggia e cura la scenografia. Il suo è un erotismo colto e contemplativo. Sporcaccione sì, ma raffinato. Tette, culi e vulve (rigorosamente impellicciate, visto che siamo negli anni ’70) sono in bella vista in ogni fotogramma, ma non sono qui per farci grufolare, anzi, fedeli alla massima di La Rochefoucauld sono più arrapanti se coperte da un velo, o da una trina. Il nudo non è volgare, ma piuttosto da Arcadia: un classicismo e una purezza da museo, però con la voglia di provocare. L’equivalente del quadro L’Origine del Mondo di Courbet, cioè una bella vulva incorniciata su tela: semplice ma espressiva. Parbleu!


La differenza col nostro Tinto Brass è che per un periodo hanno avuto un filo comune: talento, irriverenza e cultura visiva. Poi, mentre Tinto ha finito per diventare la caricatura di sé stesso, Boro si è fermato prima: ha preso le sue fanciulle, i suoi giochi e si è ritirato dal cinema, in quel petit monde che vediamo in questo splendido film. Ah, la femme…

Da noi uscì nel ’76 (dopo che gli negarono due volte il visto censura), in una versione massacrata col titolo I Racconti Immorali di Walerian Borowczyk… (Exalibur! Bravo! Grazie!), l’ordine degli episodi invertiti e inframmezzati dal documentario Una Collezione Particolare, sempre del Boro, che illustra vari oggetti du plaisir utilizzati nel corso dei secoli e che serviva ad alleggerire il film. Per gustarlo come Boro comanda – e pure l’occhio – c’è il bel DVD della Ripley integrale e il documentario della Collezione Particolare come extra.

Un film particolare, per persone particolari, che si divertono in modo particolare. C’est moi!

Curiosità: Boro aveva previsto anche un quinto episodio, ma il soggetto si sviluppò in un film autonomo: La Bestia.

Buona visione,



Trailer



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