Green Book


Regia: Peter Farrelly

RECENSIONE

New York City, 1962.

E’ la città della Grande Mela il punto di partenza di questo viaggio, e la meta di arrivo, il premio di Natale per Tony e per la sua famiglia, al termine di un tour all’interno degli States, quelli profondi, quelli del sud.

Quelli che Tony non ha mai visto e di cui forse ha appena sentito parlare, quelli che, per i colored come Don Shirley, è necessario e “consigliato”, per il quieto vivere e la sopravvivenza, una piccola, ipocrita guida di viaggio, perché "laggiù è così che funzionano le cose".

Sono anni in cui la presidenza della grande madre America ha mosso i primi passi per cambiarle, queste cose, sanguinosamente pagate in prima persona a Dallas nel ’63, ma la propaganda non è abbastanza per cambiare il mondo. Il talento non è abbastanza per cambiare la cultura delle persone.

Ci vuole il coraggio per spingersi oltre.

Green Book è una commedia drammatica ispirata alla vera storia di amicizia fra l’italoamericano Tony “Lip” Vallelonga ed il talentuoso pianista afroamericano Don Shirley, nata nell’America degli anni sessanta.


E’ un film profondo e toccante, che fa bene allo spettatore in qualunque stato d’animo si presenti in sala. Fa ridere, molto, e fa pensare, molto, ai fatti di allora e di oggi. E’ un film che un istante ti da una carezza e quello successivo un sonoro schiaffo all’altezza dell’orecchio, che ti ricordi bene cosa significhi.

E’ una pellicola che cresce, km dopo km, città dopo città, assieme ai suoi personaggi, magistralmente interpretati da Viggo Mortensen e Mahershala Ali in un emozionate vortice di apprendimento e miglioramento personale, istruttivo, talvolta comico, talvolta rabbioso e commovente.

Viceversa, ogni tappa mossa sempre più nell’entroterra sudista statunitense mostra la gravosità della situazione, del trattamento riservato alle persone di colore, così diverse, "troppo nere” per essere considerate al pari dell’uomo bianco.

Il carisma di entrambi i personaggi, diametralmente opposti, entra nello spettatore, tanto che io stesso controllavo, ove possibile, che ogni pianoforte fosse espressamente della marca richiesta da “Doc” (e da contratto).


Concludo con una doverosa riflessione sugli imminenti Academy: quest’anno non vorrei essere nella giuria. O meglio, intendiamoci, deve essere un onore ed un privilegio farne parte, quello che intendo dire è che quest’anno sarà anche un onere gravoso più che in altre edizioni. La qualità in concorso quest’anno ha ben pochi precedenti e la scelta dei vincitori sarà tutt’altro che scontata. Ho visto tutti i film in concorso nella categoria regina e la maggior parte nelle altre altisonanti categorie, oltre che tecniche, ed ho deciso di schierarmi.

Viggo Mortensen è uno di quei pochi attori che si è lasciato agevolmente alle spalle il ruolo che l’ha reso celebre nella inarrivabile trilogia de Il Signore degli Anelli (sì, sono patologicamente di parte sull’argomento) ed ha mostrato via via interpretazioni sempre più calate al suo personaggio fino ad arrivare a questa, sublime, che merita, a mio parere, la vittoria dell’ambita statuetta a miglior attore, superando addirittura un mostro trasformista come Christian Bale (senza considerare la mina vagante Rami Malek).

Per quanto riguarda Mahershala Ali riporto ciò che penso e condivido con numerosi articoli sul suo talento, è l’uomo giusto, al posto giusto, nel momento giusto. Già vincitore nel 2017, per il suddetto principio, per la categoria miglior attore non protagonista in Moonlight (recuperatelo, film splendido) ha tutte le carte in regola nonché il merito di bissare il successo quest’anno, è semplicemente stato il perfetto Don “Doc” Shirley che si poteva immaginare.

Il film è di una bellezza disarmante, il film dell’anno, da non lasciarsi scappare per nessuna ragione.

Capolavoro.

Giudizio complessivo: 10
Enjoy,



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