Dracula Principe Delle Tenebre: La Recensione del Film



Regia: Terence Fisher


Torniamo in Casa Hammer per uno dei ritorni più attesi dalla casa: il conte Dracula. Il primo film, Dracula il Vampiro (1958) ha fatto il botto, confermando la rotta horror degli studios e consacrando Christopher Lee come Dracula, quindi si progetta un bel sequel, tanto vorrai mica che Lee rifiuti di indossare ancora mantello e canini, no?

E invece sì.

Tra il capostipite e questo Dracula principe delle tenebre passano ben sette anni. La prima mossa di Lee è volare in Italia e girare subito una parodia, Tempi duri per i vampiri per smarcarsi dal ruolo del serioso conte, inoltre il suo vicino di casa Londra è Boris Karloff, che oltre ad offrigli consigli di recitazione, gli racconta la triste vicenda (e fine) del suo vecchio sodale, Bela Lugosi, morto in miseria e vampirizzato proprio dal personaggio di Dracula. Quindi per Lee, di riprendere il ruolo non se ne parla, grazie, ma no grazie.


La Hammer che fa allora? Manda avanti la saga di Frankenstein con Cushing, produce altri horror, tra cui un paio di apocrifi sul conte, ma poi inchioda Lee col ricatto:

Ti abbiamo inviato una sceneggiatura di Dracula”. “Sì, lo so non mi interessa. Non lo faccio”. “E invece devi farlo: abbiamo venduto il film agli americani. Se non lo fai lasci, senza lavoro tante famiglie”.

Il ricatto riesce, e si ripeterà per altri cinque film su Dracula. Ma su questo Principe delle Tenebre la spunta Lee: resterà muto, e non reciterà le battute del copione. Ringhierà, sibilerà, urlerà, ma nella manciata di minuti in cui starà in scena non gli scapperà nemmeno una parola. C’è chi dice che in realtà Lee non abbia voluto recitare i dialoghi perché le battute erano troppo stupide – ed è possibile; mi è capitato di leggere una trasposizione a fumetti del film e devo dire che le sue frasi erano parecchio banali -, ma le certezze sono due: Dracula è muto e lo sceneggiatore Jimmy Sangster, scazzato per la decisione di Lee, si firma con lo pseudonimo di John Samson.


Il film si apre col finale del capostipite; Dracula (Lee) e Van Helsing (Cushing) si scontrano, il vampiro viene ridotto in cenere dal sole e una voce enfatica annuncia che “Solo il ricordo rimaneva: il ricordo della più orrida e diabolica creatura che l’umanità abbia conosciuto”.                                                                    
Dracula è morto da dieci anni, ma il suo incubo aleggia ancora sui villaggi vicini, a stento dissipato dallo spiccio ma vigile Padre Sandor. Lo scoprono a loro spese i Kent, due coppie di fratelli e cognati di turisti in viaggio: Alan e Helen, rigidi e bacchettoni come due scope nel deretano e i più solari Charles e Diana. I quattro vengono abbandonati dalla loro carrozza perché presto farà buio, e si ritroveranno pilotati al castello di Dracula, dove li attende il tetro maggiordomo Klove, che non aspettava altro che ospiti per resuscitare il suo padrone. Così, quella notte, Alan finisce sgozzato a testa in giù per offrire il sangue sulle ceneri, mentre Helen farà da aperitivo al redivivo Lee. Agli altri due non resta che cercare rifugio nel monastero di padre Sandor, anche se Dracula vuole Diana a tutti i costi…


Il primo sequel è anche il migliore della saga: elegante e curato grazie alla regia di Fisher che tratta Dracula come l’ospite d’onore, caricando sull’attesa del suo arrivo; infatti, escludendo l’intro del primo film, Lee appare dopo quaranta minuti buoni. Per i canoni moderni magari può sembrare leeeeentooooo nel ritmo, ma è quello che serve per creare l’atmosfera, che è fatta di scene efficaci ancora oggi, come il rituale di Alan pugnalato alle spalle e poi appeso a testa in giù sul sarcofago di Dracula dove viene sgozzato, con un bel getto di rosso che cola sulle ceneri, il tutto accompagnato da una musica lugubre e ipnotica, che rende credibile anche la fatica di Klove nell’issare il corpo dell’uomo con la carrucola a mano. Ecco, se a scuola mi avessero fatto studiare a un problema così, al posto di quelle belìn di vasche semisferiche con due rubinetti da riempiere in tot minuti, magari l’avrei risolto più volentieri.


L’altra scena che si cita sempre è quella dell’impalamento di Helen, - da stoccafisso brontolone, diventa una vampira civettuola e seducente, vedi alla voce: pruderie vittoriane & come esplicarle – che viene immobilizzata e trafitta da un gruppo di fratacchioni castigatori e compiaciuti. Per essere un film Hammer del ’66 non è roba da poco, anzi rimane forte – sia nell’idea che nella messinscena - persino sessant’anni dopo, e difatti la BBFC impose qualche taglio qua e là, come quando Charles trova il corpo di Alan nel baule, ma ne complesso poca roba.

Lee lo giudicava ancora un buon film, cosa che non dirà sui successivi ricatti, pardon seguiti, noi lo giudichiamo un cult vampiresco. Chi ci ha guadagnato qualcosa senza far nulla fu Peter Cushing: dando il consenso per riprendere le scene del primo film, gli fruttò il pagamento dei lavori di casa…e Dracula muto.

Buona visione.

Curiosità: Al cinema uscì in doppio spettacolo con lo zombesco Lunga Notte dell’Orrore, dove regalavano denti da vampiro ai boys e occhi da zombi for girls.



Trailer



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