Eighth Grade


Regia: Bo Burnham

RECENSIONE

L'adolescenza è il periodo più critico per la maggior parte delle persone, sicuramente il più importante, cruciale per determinare il proprio futuro, perciò si tramuta nella fase più difficile e apparentemente lunga da superare. Queste affermazioni si fanno sempre più sentite e veritiere con il susseguirsi delle generazioni, le quali devono affrontare sempre più difficoltà, ostacoli, sfide e soprattutto una realtà sempre più fredda, sistematica, selettiva e cinica.


La realtà quotidiana immersa nella società virtuale, e quindi ormai quella più reale, che i "nuovi" adolescenti si ritrovano a dover superare, risulta sempre più complessa da comprendere per le generazioni più mature, anche solo di pochi anni, questo perché il cambiamento è sempre più veloce, forsennato nel trasformare il modo di vivere dei giovani. 

Progresso, sviluppo, decadenza, lo si può chiamare in molti modi, lo si può vedere da diversi punti di vista e soprattutto lo si può giudicare in maniere totalmente contrastanti, fatto sta che il cambiamento c'è, avviene continuamente e sta a noi decidere se abbracciarlo, assorbirlo, diventare parte di esso ed accettarlo o rifiutarlo categoricamente, distaccarsene ed allontanarsi; non esiste un approccio giusto e uno sbagliato, nè uno più semplice e uno più difficile, ma è vero che più il tempo avanza e più diventa cruciale e complicato essere un adolescente.

A raccontare tutto questo ci pensa un grandissimo comico, nato come tale proprio in un'era progressista, rivoluzionaria nella tecnologia della comunicazione soprattutto grazie all'avvento di YouTube, piattaforma nella quale pubblicava i suoi primi lavori e che gli ha permesso di essere dove è ora. Perciò, per quanto più adulto, poche persone potevano trattare questo tema in maniera onesta come è riuscito a fare lui con questo più che ottimo Eighth Grade.


Bo Burnham, infatti, oltre ad aver dimostrato il suo grande talento davanti alla macchina da presa, qui ha dimostrato di essere anche un grande regista che è riuscito ad affrescare l'attuale new generation con sincerità, onestà, umiltà, sensibilità e rispetto senza però sbilanciarsi mai troppo sul giudizio, qualora positivo o negativo, su di essa, lasciando allo spettatore il compito di farsi un'idea propria, anche se il vero obiettivo sarebbe quello di riuscire semplicemente a comprendere ed empatizzare. 

Ed è qui che Burnham eccede, con il suo tatto riesce a far immergere il pubblico all'interno del film, della storia e nei personaggi; non solo si prova empatia per la protagonista, interpretata magistralmente dal talento emergente di Elsie Fisher, ma anche per tutti gli altri personaggi decisamente diversi da lei. Per questo si riesce ad arrivare a capire i vari punti di vista della vicenda.

Ciò porta dentro di noi una quantità di emozioni diverse davvero unica, si prova tristezza, pena, gioia, delusione, rabbia, disprezzo, comprensione, compassione, disagio e molto di più in maniera più o meno esplicita.

Molto del film si coglie dopo averlo finito, alcune inquadrature rimangono impresse come scolpite dentro di noi, alcuni dialoghi assumono un significato molto più forte e incisivo una volta finito il tutto.


Non è un film perfetto, soprattutto nella forma e nel ritmo, ma riesce in ogni caso a toccare tantissimi aspetti di questo enorme e delicato argomento e il modo in cui lo fa è davvero la sua grande peculiarità. 

Insomma, lento, pesante ma difficile da dimenticare perché anche molto emozionante.

Giudizio complessivo: 8.5
Buona visione,





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