Tre Passi nel Delirio: La Recensione del Film



Regia: Roger Vadim, Louis Malle, Federico Fellini


Non è facile adattare Edgar Allan Poe sul grande schermo.

I suoi racconti sono caldi, allucinati, flambati dal genio e dall’alcool. Persino quando Poe scrive i polizieschi o qualche fredda cronaca della ragione, riusciamo ad avvertire il calore della febbre fra le righe.

Per tenere viva la fiamma e portare le sue storie al cinema bisogna sporcarsi un po’ le mani, masticare il genere e adattare i suoi racconti con un certo spirito. Lo aveva capito bene Richard Matheson, quando sceneggiava i film per Roger Corman: usava la storia originale come ultimo atto, costruendoci sopra il resto del film, come se fossero dei rollè di carne. Oppure nei racconti più brevi estraeva l’essenza torbida per dare il meglio del racconto.

Poe è così, va trattato “a caldo”.

Tre Passi nel Delirio invece è un film freddo, colto e pronto per essere inscatolato su antologie di lusso. Subito dovevano essere sette episodi, affidati ad altrettanti big del cinema, registi del calibro di Visconti, Chabrol e Orson Wells, tanto per dire quando dovesse essere un Poe di serie A.

Ma a misurarsi col Bostoniano Pallido, rimasero solo in tre con esiti altrettanto diversi, complici anche le storie scelte, che a mio modesto parere sembrano le meno abbordabili al cinema.


Metzengerstein, diretto da Roger Vadim.

Dal primo racconto mai scritto da Poe, la viziata e viziosa Fredericka Metzengerstein (Jane Fonda) si innamora del cugino (Henry Fonda). Quando però lui la rifiuta, lei fa appiccare il fuoco. Si salverà uno stallone nero che diventerà la sua ossessione…

Vadim è un buongustaio in fatto di donne (oltre la Fonda ha avuto come fiamme la Deneuve e la Bardot), meno su Poe che tratta come una versione gothic di Barbarella, tutto giocato sulla Fonda, che però mi ha dato brividi di altro tipo.



William Wilson, regia di Louis Malle.

Dall’omonima novella, il perfido ufficiale austriaco William Wilson ogni volta che compie un’azione turpe, si vede apparire un sosia che lo sbugiarda con tutti. Servirà un duello per risolvere il problema del doppio ingombrante.


Va meglio con Louis Malle ed Alain Delon che pur girando su commissione, raccontano un’interessante variazione sul tema dell’Io e i suoi doppi e giocano tutto sul fascino tenebroso di Delon e degli esterni girati a Bergamo.

Il finale con bel Alain che si getta dal Campanone di Bergamo, rende bene il tumulto interiore del personaggio, assente in Poe. La particina di Brigitte Bardot con parrucca bruna è inutile, ma imposta dai produttori. Florinda Bolkan avrebbe funzionato meglio, ma tira più un capezzolo di BB che un carro di buoi


Toby Dammit: di Federico Fellini.

Dal racconto Mai scommettere la testa col diavolo, l’attore alcolizzato Toby Dammit (Terence Stamp) accetta di girare un “western cattolico” in Italia in cambio di una Ferrari, ma incontra più volte una misteriosa bambina diafana con una palla rossa…


Fellini fa centro, rivoltando come un calzino la storia originale e usando Poe per raccontare e condensare le sue ossessioni e il suo mondo onirico senza risultare indigesto come in altri suoi lavori (qualcuno ha detto 8 e ½?).

Subito offrì la parte a Peter O’Toole che rifiutò perché non voleva passare per alcolizzato (anche se la bottiglia gli piaceva), ma il collega occhiceruleo Stamp, coi capelli biondo platino e l’aria da dandy sfatto dà letteralmente il bianco. E sempre a proposito di bianchi, il look dell’enfant diabolique con palla è uno scippo dichiarato alla bambina fantasma di Operazione Paura di Mario Bava, tanto che alle rimostranze baviane Giulietta Masina replicò: “Ma sai com’è Federico, si guarda sempre in giro…

Buona visione, magari con un sorso di Amontillado per scaldarsi.


Trailer



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