L’Ultimo Treno della Notte: La Recensione del Film



Regia: Aldo Lado


Se nel 1972, Wes Craven dava di fatto inizio al filone del rape and revenge con L'Ultima Casa a Sinistra, si può dire che 3 anni dopo, il buon Aldo Lado (autore di altri fil degni nota quali per esempio La Corta Notte Delle Bambole Di Vetro e Chi L'ha Vista Morire?) introduce il concetto anche qui in Italia, prendendo chiaramente spunto dall’illustre predecessore per poi sviluppare il suo lavoro probabilmente più riuscito e rappresentativo: L’Ultimo Treno della Notte.

Un film che, oltre alla mano sapiente di Lado può fregiarsi anche delle musiche del maestro Ennio Morricone e che anticiperà di qualche anno un altro “parente” dell’epoca e di cui ho parlato qualche tempo fa, La Settima Donna di Franco Prosperi, che si mantiene tuttavia un gradino sotto.

Brevemente la trama. Due ragazze stanno tornando in Italia dalla Germania per le feste natalizie, ma il treno su cui viaggiano viene fermato a causa di un presunto attentato. Si troveranno quindi dirottate su un altro convoglio dove però finiranno vittima di due malviventi e di una donna. Ma pure per loro non è che sarà un Natale felicissimo.


La festività imminente si respira sin da subito, con un inizio festoso e felice che potrebbe appartenere a qualsiasi graziosa commedia, fregiandosi pure di un ottimo scorcio della città di Monaco di Baviera agghindata per l’occasione. Ma l’idillio non durerà a lungo, visto che ben presto faremo la conoscenza di quei due balordi che cercano in tutti i modi di approfittare di turisti e residenti, mettendosi ben presto nei guai. Ed è qui che iniziamo a spostarci sui treni, location predominanti della pellicola, e che non possono non riportarci alla mente quando si poteva ancora fumare a bordo, fatto che sembra incredibile ai giorni d’oggi, ma solo perché non abbiamo buona memoria.


Come ne L’Ultima Casa a Sinistra, pure qui le due ragazze protagoniste (Irene Miracle e Laura D'Angelo, entrambe esordienti) appaiono molto carine ed innocenti, proprio per rendere ancor più significativo il contrasto con la brutalità della loro aggressione. Aggressione che contribuisce a mettere in luce un ottimo Flavio Bucci che, quando non è stato impegnato a fare il sosia di Diego Milito, si è ritagliato tantissime parti in film più o meno riusciti. Qui le sue espressioni appaiono memorabili, regalandoci un personaggio davvero di spicco, perfetto per la parte del villain studiata da Lado e dalla sua crew.


A fargli compagnia, seppure con una sorte probabilmente migliore, ritroviamo un vendicativo e sempre convincente Enrico Maria Salerno e quella Macha Méril che quasi sicuramente riuscirà a mettere tutti nel sacco, anche se quell’ultima e suggestiva immagine di lei che si rimette il velo, lascia più di un interrogativo sul quale sarà il suo destino.

Come vuole il genere, il film risulta piuttosto crudo e violento, anche se onestamente me lo ricordavo peggio. Ma d’altronde siamo a metà anni ’70 e, vale lo stesso discorso fatto per Wes Craven, più di questo onestamente appare difficile da pretendere. Certo è che l’immagine delle gambe aperte con il coltello piantato proprio da quelle parti, è diventata sicuramente iconica per il genere e la filmografia di riferimento, grazie anche all’accompagnamento con quella musica incalzante di sottofondo tipica del Maestro.


L’atmosfera che si viene a creare all’interno della carrozza, con quel gioco di luci ed ombre sapientemente rappresentate, trasuda proprio di marcio e di sadico e, vista appunto la presenza della donna interpretata dalla Méril, serve quasi come una sorta di trampolino di lancio per le critiche non esattamente velate che Aldo Lado muove nei confronti della classe borghese e del finto perbenismo che spesso la accompagna. Una scelta che all’epoca non fece probabilmente felici molte persone, ma che sicuramente ha reso fieri gli spettatori dal palato più ricercato.

Peccato per alcuni scivoloni probabilmente non evitabili, qualche casualità di troppo nella trama e piccole incongruenze che nei film dell’epoca facevano spesso capolino, perché per il resto rimane uno di quei lavori imprescindibili nella filmografia degli appassionati del genere

Enjoy,



Trailer



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