Il Signor Diavolo


Regia: Pupi Avati



RECENSIONE

La notizia del ritorno di Pupi Avati all’horror aveva senza dubbio solleticato il palato di moltissimi appassionati del genere, e la lunga attesa per riuscire a vederlo (dal momento che non ero riuscito ad andare al cinema) aveva decisamente aumentato le aspettative.

Considerando poi i trascorsi del regista nel genere horror, (La Casa Dalle Finestre Che Ridono lo ritengo un filmone e non ha bisogno di presentazioni, Zeder credo sia un film piuttosto valido, mentre gli altri non li ho visti), era lecito aspettarsi un qualcosa che potesse quantomeno farmi strappare uno dei quattro capelli rimasti in testa e invece eccoli ancora tutti lì al loro posto, in attesa di tempi migliori. Chiariamoci, il film non è brutto, ma una firma del genere a mio avviso avrebbe dovuto regalarci qualcosa di meglio.

Furbescamente Avati pesca molto dai suoi lavori precedenti citati sopra, dando quindi l’impressione di continuare su quella strada che gli ha regalato soddisfazioni e il buon inizio sembra confermare il presobenismo generale. 

Il coinvolgimento di Stato, Chiesa e politica è evidente e si sposa molto bene con la vicenda raccontata, che può fregiarsi tra le altre cose di un’ambientazione anni ’50 resa molto bene e di conseguenza molto gradita anche da me che generalmente non apprezzo molto lo stile retrò (non chiedetemi il perché).


La parte tecnica non dispiace, mostrando come il regista sappia ancora dire la sua da quel punto di vista, e l’atmosfera creata riesce ad inquietare ed intrigare sufficientemente, approfittando di una serie di personaggi sicuramente non anonimi, che ben si inseriscono all’interno della storia e che probabilmente non si scordano in poche ore. Certo, per quanto riguarda la recitazione, non sempre l’ho trovata da Oscar, anche se nel complesso il bambino mi ha convinto con quella espressione triste e scavata che ci accompagna per tutta la visione, Momentè risulta credibile e Chiara Caselli vince a mani a basse il titolo di MVP.


Il problema grosso della pellicola è che fatica terribilmente a catturare lo spettatore. Tutto è assolutamente lineare, così come te lo aspetti, quasi ovvio mi viene da dire, senza un guizzo che ti faccia esclamare “Oh sì, Avati è tornato finalmente”. Non basta un’atmosfera malsana a rendere intrigante il film, soprattutto quando poi vengono aggiunte alcune scene a mio avviso fuori luogo (vedi per esempio il goffo ed inutile corteggiamento di Momentè all'infermiera del padre o il sangue fuoriuscito dalla culla con un effetto che non c’entra un cazz con il contesto all'interno di cui è stato inserito).

Mi spiace dirlo poi, ma in alcuni momenti appare pure un filo noioso, risultato figlio della staticità e della prevedibilità citate precedentemente, a cui va aggiunto quel taglio apparentemente televisivo che non consente di osare in quelle 2 o 3 scene dove effettivamente si poteva spingere di più.


Il finale non dispiace e risolleva parzialmente la situazione, anche se probabilmente risulta essere un po’ affrettato.

Nel complesso quindi, credo che il regista si sia limitato a svolgere il compitino, che gli vale una sufficienza tirata (prevalentemente di stima) e che mi lascia col provocatorio dubbio che forse la presenza del buon Maurizione Costanzo alla sceneggiatura, magari avrebbe garantito un successo diverso (non necessariamente migliore, ma chi lo sa?)

Giudizio complessivo: 6
Enjoy,



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