Il Dio Chiamato Dorian: La Recensione del Film



Regia: Massimo Dallamano


Anche Helmut Berger ha varcato l’altra riva - magari a bordo di Caronte - poco prima del suo settantanovesimo compleanno. Meglio le fiamme infernali che qualche pallida candelina. Noi di Recensissimo, c’eravamo, con un po’ di crema solare e due arrosticini da sbocconcellare per omaggiare l’uomo più bello di tutte le donne.

Dunque, Helmut se ne stava bello spaparanzato nel suo letto, anziano e più sfatto di Mickey Rourke (mica male per il “vedovo” di Luchino Visconti, che ha preso a borsettate Alain Delon!) quando con la coda dell’occhio colse un bagliore - luciferino, ovvio – provenire dallo specchio. Con un po' di fatica si alzò per controllare, rendendosi conto che non era lo specchio, bensì quadro: il suo ritratto recente che però non ricorda d’aver commissionato. Con stupore e gioia vede che la tela inizia a cambiare, ringiovanendo, mostrandogli tutte le sue sfaccettature e i suoi ruoli passati: diabolico Asmodeo in Mia Moglie è una Strega, nazista dannunziano in Salon Kitty, paludato Ludwig per Luchino suo e poi…Dorian Gray, un ruolo che sembra fatto apposta per lui. Chi l’ha scritto? Questo Oscar Wilde non dovrebbe pagarmi i diritti d’immagine? Morto pure lui, cosa si inventano per non darmi la mia giusta mercede! Io, Helmut Berger




…Lui, Dorian Gray, nella Swinging London; giovane aitante che posa per un ritratto dell’amico Basil. Peccato che la bellezza del ragazzo sfiorirà un giorno, mentre la tela rimarrà tale in eterno, si può mica fare cambio, che mi scappa l’ossessione narcisista? E voilà, corrotto dal cinico gallerista Henry Wotton (impeccabile Herbert Lom), il ragazzo smetterà di invecchiare, diventando vanesio ed egoista, portando al suicidio la fidanzata Sybil e dandoci sotto con la depravazione ‘ndo cojo cojo: donne e uomini, tanto c’è il quadro nascosto in soffitta che incassa ed imbruttisce, a me basta l’oscar del mignottaro…

Eh sì, un ruolo su misura per me: inquieto, vanitoso e marchettaro. Una produzione internazionale di Harry Alan Tower, volevano Franco Nero e il suo baffo da sparviero, ma Dallamano scelse me. Per dirvene una: il ritratto fu commissionato ad un pittore, ma rimase senza testa fino all’ultimo. La scuola di Luchino ha dato i suoi frutti, ero in grado di girare campi e controcampi, rifacendo gli stessi gesti. Tutto il film gira intorno a me, io ero un totem, un Apollo. Ero un Dorian Gray più immediato e pop, un adattamento di pronto consumo, fra pellicce e abiti optical.


Una lettura levigata e già invecchiata come la Londra del tempo, dove Carnaby Street comincia a sapere di vecchio. Herbert Lom rispetto al libro è un Lord Wotton più gay, ma cos’è il vizio se non piacere senza vergogna, come declama Lom che cita Wilde. E tanto per restare sul pezzo (e citare Oscar), il cast femminile non ha nulla da dire, ma lo dice con grazia: un catalogo che va da Margaret Lee a Isa Miranda, passando per Maria Rohm e Beryl Cunningham, donne che danzano fra le mie dita –e anche su qualcos’altro – creature usa e getta, da assaporare e sprecare, sesso, vizio.

Questo sono io, un horror d’antan, il doppio più vacuo e perverso del cinema!

Ma no, Helmut. Non sei cattivo, è che ti dipingono così.”
“Luchino?! Ma…Ma tu, come…”
“Si è fatta sera anche per te. Adesso non sei più il “vedovo”.”
“Sono morto? E Delon?”
“Oh, aspetterà. Sono quarantasette anni che aspetto di girare un nuovo film assieme a te. Saluta i tuoi ospiti e ricordagli che possono trovare il film su Amazon Prime. Su, buonanotte, mondo”.

Auf wiedersen, Helmut.

Buona visione,



Trailer



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