Monty Python – Il Senso Della Vita: La Recensione del Film



Regia: Terry Jones


"In questo film non manca nulla
È indovinato in tutte le mosse
Dal senso della vita e dell’universo
Alle ragazze con le tette grosse"

(stornello con cui Python hanno presentato il film ai dirigenti della Universal per farselo finanziare).



E ora qualcosa di completamente diverso! Tanto per citare i Python stessi.

Festeggiamo i primi quarant’anni dell’ultimo film dei Monty Python, nella stessa maniera in cui Alice lo festeggerebbe col Cappellaio Matto e la Lepre, e prediamoci un Tè fuori di Sé. D’altronde le domande come il Senso della Vita, meritano uno spirito forte, e quello dei Python è il migliore.

Per chi non li conoscesse, i Monty Python sono stati un gruppo di comici inglesi, famosi per il loro humor irriverente, surreale, nero e a volte di difficile traduzione – insomma british al 100%. Quindi irresistibili o insopportabili, in base al vostro sense of humor. Fra le sue file militavano Graham Chapman (che si ostina a voler restare morto dall’89), Eric Idle, John Cleese, Michael Palin, Terry Jones e un certo Terry Gilliam che potrebbe esservi familiare, visto i film interessanti che ha firmato dopo.


Dopo il film Brian di Nazareth, i Python sono alle stelle, ma per ispirazione e voglia di averne...ciccia. Il loro agente però gli dà la giusta motivazione: “Fate un altro film adesso e non dovrete più lavorare”.  Cleese, che è sempre stato abbastanza venale (e col vizio del divorzio), è il più entusiasta. Così il gruppo si ritira a fare braistorming alla Barbados e dopo aver discusso a lungo, perché non fare un film sul (non)senso della vita?

Dopo il prologo debordante di Terry Gilliam (che qui fa le prove generali per la sua carriera solista - un film nel film, che infatti inizia e finisce con tanto di loghi Universal a “ripartire” col film vero-) di The Crimson Permanent Assurance, dove seguiamo degli assicuratori che prendono d’assalto come fossero pirati la società madre per protestare contro il licenziamento di un collega ad opera, parte il lungometraggio vero e proprio; una serie di sketch surreali (o demenziali) divisi in sette capitoli che coprono la vita umana dalla nascita alla morte.


Non ve li elencherò tutti, ma il calderone sul (non) senso della vita copre episodi davvero esilaranti: Dal miracolo del parto con l’ispettore sanitario idiota ed estasiato dai macchinari che fanno ping, alla differenza tra cattolici e protestanti sulla procreazione: un padre cattolico con millemila figli perde il lavoro in fabbrica e decide di venderli per esperimenti perché, come canteranno i pargoli Every sperm is sacred, every sperm is holy! Tutto sotto lo sguardo moraleggiante di due protestanti, che pur essendo orgogliosi di potere copulare col preservativo, non scopano. La Scuola? Un professore al college, dà lezioni pratiche di educazione sessuale con sua moglie. Guerra? Abbiamo gag anche per lei. Durante la guerra Zulu, la massima preoccupazione è la gamba dell’ufficiale, portata via da un tigre. Mezza età? C’è un intervallo messo apposta che interrompe il film, e via di surrealismo come Find the fish, scenetta buona per David Lynch che non ha digerito la peperonata.

Ci sono però due momenti indimenticabili: il primo è la sequenza – disgustosa - di Mister Creosote, un ciccione che va al ristorante, mangia e vomita a ciclo continuo fino ad esplodere per una mentina… “Come sta signore?” chiede il cameriere “Meglio!” “Meglio?” “Meglio portare un secchio, sto per vomitare”. Troppo anche per Quentin Tarantino, ipse dixit.


E poi gli anni del declino: la Morte che va a mietere le sue vittime in una casa di borghesi, ma viene scambiata per un contadino. Personalmente è il mio episodio preferito, tanto che mi diverto ogni tanto a citare con voce sepolcrale la causa di morte degli invitati: la mousse al salmoneeeeeee… Lo so, i recensori normali erano finiti, mi tenete così.

Impossibile da raccontare, facile a sghignazzare se avete quel pizzico di humor laterale nelle vene, c’è tutto quello che vi serve: surrealismo, gag, canzoni irreverenti – “il motivetto portato dai caraibi the Penis Song” – e tanto, ma tanto, ma tanto humor britannico. Perché la vita va presa così con un goccio di the, al gusto Ghiro.

I Python invece si presero il premio Gran Prix a Cannes, ma non lo giudicarono il loro miglior lavoro, forse perché più che il senso della vita, hanno cercato il senso del soldo. Inglesi sì, scemi no.

Mi raccomando, find the fish!

Buona visione.



Trailer



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