Regia: Lars Von Trier
Si sa, Lars Von Trier è uno di quei registi che o si ama o si odia, non penso siano possibili molte sfumature nel mezzo.
Il cineasta danese infatti è riuscito nella sua carriera a produrre film completamente diversi tra loro ma ognuno con un tocco più che riconoscibile ed ognuno più innovativo dell'altro.
Tra tutte le pellicole da lui dirette, di sicuro Dogville è una delle più riuscite ed innovative, un geniale mix tra teatro, cinema e letteratura.
Il film, facente parte di una trilogia al momento incompiuta dedicata all'America degli Anni '30, racconta la storia di Grace, una donna inseguita da un gruppo di gangsters che decide di rifugiarsi nella sperduta Dogville alla ricerca di protezione e riparo. La cittadina, essendo abituata a vivere autonomamente, ha una scarsa capacità adattativa e di integrazione, rendendo il soggiorno della protagonista non tanto semplice quanto ci si aspetterebbe, malgrado le iniziali facce dolci e comprensive della popolazione locale.
Ovviamente, visto così, Dogville potrebbe sembrare un film abbastanza semplice e forse nemmeno troppo originale ma non temete, Lars non delude mai.
Tutta la pellicola infatti è ambientata in una specie di palco circondato da un telo che diventa bianco di giorno e nero di sera. Il pavimento è scuro come l'anima dei protagonisti e le varie case del paese, in realtà, non esistono. Queste infatti sono solamente delle linee disegnate per terra, linee che i personaggi però interpretano come muri e porte realmente esistenti, tanto da sentire il cigloio dei cardini quando qualche attore entra ed esce da un edificio anche se, in realtà, stanno spostando solo aria. Per aiutarci nella comprensione di ciò che vediamo il regista inserisce alcuni elementi in ogni stanza che ci permettono di capire dove si trovano i personaggi, ad esempio un tavolo, un letto, una campana o una catena.
La scelta di girare il film quasi come se fossimo ad una rappresentazione teatrale è molto originale e non facile da trovare in altre opere. L'effetto che viene creato potrebbe essere all'inizio un po' fastidioso e bizzarro, ma nel giro di una decina di minuti le linee disegnate saranno pareti più che reali e tutto questo mondo surreale ci sembrerà coerente e logico.
Altra caratteristica abbastanza insolita è la presenza importante (ma per nulla invadente) dela calda voce narrante di John Hurt che ci descriverà i pensieri dei alcuni protagonisti e ci spiegherà alcuni dettagli su Dogville non così scontati. La voce non appartiene a nessun personaggio in scena e questo farà assomigliare il tutto ad un racconto, apparentemente semplice ma tremendamente macabro e grottesco.
La tecnica registica del maestro danese è davvero perfetta. Le riprese saranno perlopiù effettuate con camera a mano a seguire i protagonisti, rendendoci parte di questa "messa in scena" che minuto dopo minuto ci farà sentire colpevoli e vittime allo stesso tempo, rendendo spesso difficile decidere da che parte stare. Accanto a questo tipo di inquadrature ci sono bellissime riprese aeree che cimostreranno la pianta di Dogville e la frenetica vita dei suoi abitanti.
Una scelta che invece è presente in praticamente ogni opera di Von Trier (inclusa questa ovviamente) è la suddivisone in capitoli che, in questo caso, sono 9 e rafforzano l'idea di racconto di cui sopra.
Gli attori in scena, nemmeno a dirlo, sono eccelsi. Nicole Kidman è perfetta nei panni di Grace, la povera donna finita nelle grinfie di Dogville che riuscirà ad essere affettuosa, violenta, terrorizzata e sottomessa, risultando sempre credibile ed incredibilmente affascinante; Paul Bettany è un ottimo Tom, il protettore (per così dire) di Grace che, in alcuni tratti, mi ha ricordato il prete de Il Petroliere, interpretato da un brillante Paul Dano; Stellan Skarsgard penso sia un attore con ottime potenzialità ma troppo sottovalutato, riesce infatti ad interpretare il contadino Chuck dandogli un tocco in più, facendolo emergere tra i numerosi personaggi secondari.
Come detto in precedenza, Dogville si può prestare a numerose interpretazioni e la prima che viene inmente è quella del ritratto terribile della civiltà. Lars non è mai stato ottimista e questo Dogville riprende alcune delle tematiche a lui care e già in parte espresse in altri film come, ad esempio, Le Onde Del Destino. La civiltà e l'uomo vengono ritratti come esseri egoisti e crudeli, opportunisti e sadici che pensano solamente al proprio benessere nascondendo la crudeltà sotto una patina di perbenismo civile, creando dei "villaggi" che servono solo per approfittarsi degli altri nel momento del bisogno. Proprio nei primi capitoli infatti vedremo come sarà difficile da Grace farsi accettare dal villaggio dei bigotti, persone cupe che pensano solo a guadagnare e sopravvivere, con l'idea del padre-padrone e dell'opportunismo. Questa visione misogina è ben radicata nella pellicola, specialmente nella seconda parte, dove la situazione si radicalizzarà e diventerà la prigione di Grace.
Ma, a tutto questo, esiste un rimedio.
Spoiler
La violenza.
Fine spoiler
Non è di certo un insegnamento pacifista, ma secondo il regista è forse necessario usare le maniere forti per sradicare il male da una civiltà corrotta fino al midollo, disposta a tradire il prossimo senza pensarci due volte. Non fraintendiamo, la violenza non deve essere necessariamente fisica ma potrebbe essere anche ideologica, un apertura mentale che, forse le nuove generazioni (incarnate dalla nuova arrivata) dovrebbero diffondere nella civiltà, estirpando il male (per quanto possibile) e cercando un mondo nuovo. Unica eccezione a questa violenza è il cane della pellicola che, nell'ultima scena, si trasforma da sagoma di gesso ad animale in carne ed ossa, speranza di un bene che germoglia in mezzo alla crudeltà. La violenza fine a sè stessa infatti porta solo alla distruzione, bisogna essere in grado di cogliere il bene anche nelle piccole cose e cercare di far sviluppare questo aspetto piuttosto che quelli negativi. Curioso poi come Grace, appena arrivata a Dogville, abbia sottratto l'osso proprio al cane, unico personaggio che non le farà mai del male e, allo stesso tempo, personaggio più indifeso e "invisibile".
La visione del regista non è quindi totalmente nichilista ma riesce a far intravedere un raggio di sole tra mille nubi tempestose.
Ci sarebbero molte altre cose da dire e molte altre interpretazioni da dare ma penso che sia un film che ognuno dovrebbe vedere per riuscire a trarre le proprie conclusioni.
Consigliatissimo a tutti gli amanti del cinema d'autore, un capolavoro assoluto del genere. Sconsigliato a chi si annoia facilmente, il ritmo lento e la lunga durata metteranno alla prova anche i più appassionati.
Giudizio complessivo: 9.3
Buona Visione,
Stefano Gandelli
Film Completo