I Spit On Your Grave 3



Regia: R.D. Braunstein



Beh che dire, dopo un primo capitolo ottimo (ma che si tratta pur sempre di un remake) e un deludente secondo, quali potrebbero essere valide motivazioni per vedere il terzo?


Ed ecco ad inizio film la comparsa di Sarah Butler, che offre già subito una risposta che potrebbe senza dubbio soddisfare la maggioranza di noi. E non solo per la sua presenza in quanto figa con poche rivali, ma anche per il fatto che questo film, a differenza del secondo episodio che raccontava tutta un’altra storia, sembra ricollegarsi alla storia originale, con gli incubi e i ricordi della donna riguardo ciò che aveva patito tempo addietro, che nelle prime fasi la fanno da padroni incontrastati. Alcune scene in particolare, a cavallo tra realtà ed immaginazione, sono molto riuscite, tipo quando Angela/Jennifer prende a cazzottoni la responsabile del gruppo di recupero o quando si imbatte in quei brutti ceffi subito dopo aver parlato con il detective.

Quando poi decide di fare sul serio invece ho trovato la situazione un po’ troppo forzata, soprattutto la prima scena con la vendetta sul l’ex della bionda, a sfiorare il grottesco non voluto. Certo alla fine ci sta nella logica del film (anzi dei film, ricordando anche il primo), però il rischio di percorrere una strada rischiosa effettivamente c’è. 

Ed infatti tutto il film si indirizza su quella piega lì, prendendosi probabilmente troppo seriamente e facendo passare la Angela di turno quasi per ridicola in alcuni punti (tipo quando va alla ricerca del vecchio approfittatore della ragazzina nel suo negozio, sfoggiando un atteggiamento da eroina davvero forzatissimo e leggermente fuori luogo, considerando il fatto che non stiamo visionando una roba in stile The Machine Girl di Noboru Iguchi). A quel punto sta tutto nella bravura del regista nel creare un così forte senso di disgusto nei confronti delle future vittime, che alla fine passano in secondo piano quasi tutti i difetti, in favore di una tanto agognata punizione esemplare. Solo che questa tattica può andar bene per uno, massimo un paio di film, poi basta.



Nel complesso il film risulta tuttavia migliore del secondo in quanto almeno qui, pur mantenendo quasi lo stesso svolgimento (alcune scene ricordano molto il predecessore), cambia un po’ lo scenario…non è una semplice scopiazzatura adattata ad un’altra protagonista, ma si cerca di riprendere la storia, aggiungendo pure qualche risvolto psicologico sulle questioni della vendetta e dell’assorbimento dei traumi patiti.

C’è da dire tuttavia che la trasformazione della protagonista da vittima a spietata vendicatrice della notte (e non solo, dato che più passa il tempo, più il suo desiderio di provocare per poi punire aumenta esponenzialmente) non so se mi ha convinto; questo infatti è uno di quei film che dopo giorni non ho ancora capito se mi è piaciuto oppure no.

Elargisco per cui un’abbondante sufficienza di stima, grazie anche ad alcuni azzeccati effettacci splatter e a un gran bel finale (per un attimo ci ho creduto che fosse tutto vero, quando sono arrivate le altre due ragazze nel corridoio), che forse lascia margine per un altro episodio, del quale francamente se ne potrebbe anche fare a meno.

Peccato solo per l’assenza di sottotitoli (non sono riuscito a trovarli e se qualcuno saprà aiutarmi gliene sarò molto grato), anche se non credo di essermi perso niente di importante, anche perché quando si parla di “Pipes up his ass” effettivamente non c’è molto da capire.


Giudizio complessivo: 6.5

Buona visione e alla prossima,

Luca Rait




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