I Racconti Del Terrore: Recensione Del Film



Regia: Roger Corman


Roger Corman ha lasciato lo studio; il Regista Celeste ha dato lo stop al suo lungometraggio, ben
98 anni, quasi un’intera vita (e carriera) per il cinema. Regista, produttore, sceneggiatore,
distributore, fucina della Factory da lui creata e dalla quali sono usciti dei calibri tipo Jack
Nicholson, Dennis Hopper, Francis Ford Coppola, Joe Dante e un’altra pletora di cavalli di razza,
un elenco quasi più lungo della sua sterminata filmografia. Uno che ha vissuto letteralmente per la
Settima arte, e che ha sempre avuto una massima: il pubblico dimentica tutto tranne una storia
noiosa.

A noi piace vincere facile, per cui il nostro omaggio al Maestro, lo facciamo con un gioiello della
corona, I racconti del Terrore, ovvero Edgar Allan Poe secondo Roger Corman.
Uno delle tappe più celebri della sua carriera è stata proprio il cosiddetto ciclo di Poe: otto film in
cinque anni, quasi tutti prodotti dalla AIP, diretti da Corman spesso in quindici giorni di riprese,
strizzando fino all’ultimo cent a disposizione e affiancato dal gruppo perfetto a dar vita alle
ossessioni del pallido bostoniano: Vincent Price ci mette la faccia e i cachinni, Richard Matheson la
penna nell’innestare anche più racconti insieme, mentre Floyd Crosby la tavolozza dei colori.
Il risultato sono sempre riletture originali, divertenti e anche notevoli. Poe è materia difficile da
trattare, si rischia di andare dal didascalico all’algido (qualcuno ha detto Tre passi nel delirio?), catturarne l’essenza è come imbottigliare il fulmine, bisogna essere dei Frankenstein e
l’equipe di Corman azzecca la formula. It’s alive!

Dal titolo intuiamo la natura del film: antologico, con Vincent Price protagonista e gigione, ma
affiancato da due divi in grado di tenergli testa.

Si parte con Morella, dove l’omonima defunta usa la figlia Leonore per vendicarsi del padre, un
Vincent Price che oscilla tra lutto e follia, degno outtake di Roderick Usher in I Vivi e i Morti,
sempre a firma di Corman. Forse l’episodio più opaco, ma il grigio della polvere e della fotografia
gli danno un’aria di morte annunciata già dall’inizio.


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Il gatto nero invece gioca su altri toni: la sceneggiatura incrocia l’eponimo racconto col barile di
Amontillado; Montresor (Peter Lorre) è un ubriacone che però si intende di vini e si vendicherà del
sommelier snob Fortunato Lucresi (Price) che oltre ai vini si sorbisce anche sua moglie: li murerà
vivi in cantina, ma non ha fatto i conti col gatto di casa…Il migliore dei tre, grazie al registro più da
commedia nera che vede Price rosso crinito dai modi affettati e gigioneschi; basta vedere le sue
smorfie quando fa i gargarismi per assaggiare i vini. 
Ma la sua verve è ben bilanciata da Peter Lorre, viscido e ubriacone, ma che ispira simpatia comunque. Non ce la fai a odiarlo, grande Peter, funziona così bene che tornerà anche nel film successivo I maghi del terrore, in un ménage a trois con Price e Karloff.

Valdemar chiude il cerchio con il racconto La verità sul caso Valdemar, dove il morente Price si fa
ipnotizzare dal perfido Carmichael (Basil Rathbone) che lo tiene in uno stato di trance per fargli
eseguire i suoi ordini. Ma più dell’ipnosi può l’aldilà… Impressionante ancora oggi il trucco di
decomposizione, la storia si giova della presenza dell’altro ospite, Basil Rathbone, lo Sherlock
Holmes del passato, qui piuttosto stronzo e manipolatore.

Il miglior modo per ricordare Corman è recuperare questo film, fatto di buona scrittura, buona
tensione, buona fotografia e…buona visione.

Ciao Roger, ci vediamo sullo schermo.


Trailer


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