Civil War: Recensione Del Film



Regia: Alex Garland


TRAMA

In un'America sull'orlo del collasso, sconvolta da una guerra civile, il presidente degli Stati Uniti si trincera a Washington. Quel che resta del governo centrale sta per soccombere alle truppe separatiste e, per questo, il giornalista Joel e la fotografa Lee decidono di documentare e raccontare l’unica ultima storia rimasta: intervistare il Presidente degli Stati Uniti, prima della sua resa.

Partono per la capitale insieme all'anziano giornalista Sammy e la giovane fotografa Jessie, in un viaggio attraverso il paese che mostrerà loro il caos e le atrocità che questo conflitto sta generando, fuori da ogni controllo e schieramento.


RECENSIONE

Provocatorio, crudo e fortemente disturbante, l’ultimo lungometraggio prodotto da A24 parla della guerra, ma lontano da schieramenti politici, da cause ed effetti, da “buoni” e “cattivi”.

Civil War ti catapulta in mezzo ad un conflitto già al culmine, senza dare nessuna spiegazione sul come e perché sia arrivato a quel punto, senza capire chi sta combattendo da una parte e chi dall’altra, concentrandosi solo sugli eventi, che si susseguono rapidi, numerosi, in un’escalation di violenza e morte, fino all’assalto finale a Washington, tanto spettacolare quanto teso e drammatico.

Le immagini di morte e distruzione mostrate sono fuori da qualsiasi “logica” di parte e l’assenza di spiegazioni impedisce di “giustificare” anche in minimo modo questo incubo (se mai fosse possibile una giustificazione).

Vediamo stati tradizionalmente e politicamente avversi, come la California democratica e il Texas repubblicano, uniti dall’odio verso il presidente, che diventa il nemico comune da “abbattere”, e questa “Civil War” non è altro che la morte della democrazia, in un conflitto in cui regna la demonizzazione dell’avversario politico, senza possibilità di confronto, poiché entrambe le parti si elevano ad una posizione di superiorità, uccidendo e impedendo qualsiasi tipo di dialogo, scambio o mediazione.


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Un racconto bellico che è metafora di ciò che accade oggi (e sempre) nei conflitti, raccontati spesso dal cinema come lo scontro di parti, in cui c’è sempre un “buono” in cui potersi identificare e un “cattivo” da combattere, divisione che in realtà non è mai così netta e definitiva.

E poi ci sono loro, i cronisti. Giornalisti e fotografi che documentano, raccontano, mantenendo un punto di vista neutrale, lucido e costruttivo, almeno in apparenza.

Documentano ciò che vedono a tutti i costi, anche gli orrori più truci, in un‘imparzialità documentaristica, contro ogni pericolo, che appare agli occhi dello spettatore più come sete della notizia del secolo, che come diritto all’informazione e alla conoscenza dei fatti.

Il loro obiettivo è fare l'ultimo scoop o lo scatto definitivo, quello che rimarrà nella memoria collettiva, e operano animati da un folle coraggio e cinismo.

La riflessione/critica al giornalismo di guerra è chiara: qual è il limite a cui spingersi per la ricerca della notizia? Qual è il confine tra dovere di cronaca e ricerca spasmodica della notizia ai fini della gloria personale? Esiste un limite etico e morale nel ritrarre esecuzioni, torture e morti in modo asettico e primo di qualsiasi empatia? La ricerca della verità basta a giustificare qualsiasi scatto?

E la risposta è tutta nell’ultima drammatica conclusiva sequenza.

Un film distopico, ambientato in un mondo distorto, in cui è fin troppo facile riconoscere il presente.

VOTO: 8

Buona visione,

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Trailer


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1 commento:

  1. Visto, ieri, deludente dopo le alte aspettive, forse anche un po' scontato.

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