In Nome Del Papa Re: Recensione Del Film



Regia: Luigi Magni


Nino Manfredi sta a Luigi Magni, come Samuel L. Jackson sta a Quentin Tarantino, entrambi feticci del proprio regista, entrambi attori eccellenti nell’assecondarne i tic autoriali. Nel caso Magni-Manfredi sono due: la Roma papalina e la vestaglia. Ma andiamo con ordine.

Roma, 1867. Al Santo Soglio siede Pio IX, Papa longevo, ma non proprio piacione; tanto per darvi un’idea: Garibaldi aveva battezzato il proprio asino Pionono per poterlo bastonare a piacimento… Prima ancora di essere capo dei cristiani è re di Roma, ben deciso a tenersi il cadreghino stretto, cioè il legato il potere temporale da quello spirituale, anche se gli italiani guardano la città come Ezechiele lupo guarda i tre porcellini. Il giudice ecclesiastico Colombo da Priverno (Manfredi),invece è abbastanza disilluso e pronto a dare le dimissioni al Papa. "A’ Serafì, qui non finisce perché arrivano gli italiani, ma proprio perché arrivano gli Italiani che è finita", commenta allo stupito perpetuo Serafino (Carlo Bagno, pancia della vicenda).

Il problema è che la sera stessa, Colombo riceve una trafelata contessa Flaminia, che sgancia una bomba in testa al prelato: tre popolani hanno fatto esplodere una caserma degli zuavi e sono stati arrestati, Monti, Tognetti e Cesare Costa. Quest’ultimo non è il giovane amante della contessa, ma il loro figlio segreto; quindi, va liberato grazie alle influenze di Colombo. In piena crisi paterna e religiosa il giudice lo andrà a prelevare, e si troverà a nasconderlo in casa propria, trovandosi a destreggiarsi fra un giovane riottoso, bombarolo e anticlericale "Ci sono due cose che mi fanno schifo, i padri e i preti", i propri ideali, la curiosità di Serafino, le sferzate della contessa e l’imminente processo agli altri due compari rimasti in galera, Monti e Tognetti, eh, già, perché essendo popolani, nessuno intercede per loro. E non ha ancora fatto i conti con i corvacci dei Gesuiti e il loro Generale, il Papa Nero (Salvo Randone, luciferino e untuoso)…
 

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Magni parte da un fatto storico, l’ultima condanna a morte eseguita dall’autorità papale, raccontata col piglio divulgativo da lezione Alessandro Barbero: si inventa in personaggio di Cesare Costa per fare gossip e raccontare quello che gli viene meglio: l’anticlericalismo. “Semo demoni dentro e fori” sentenzia amaramente Colombo. I cardinali del sacro collegio sembrano usciti da una tela di Goya, il braccio secolare è ben rappresentato dall’untuoso Camillo Milli, ma chi si mangi la scena è il generale gesuita Salvo Randone, praticamente un Papa Francesco corvaccio e penitenziale, mano sinistra di Dio che tutto vede e tutto sfrutta a proprio vantaggio, contralto del veneto Serafino. Sancho Pancha del Don Chisciotte/Manfredi, uno che andrà contro i mulini a vento della Chiesa, un Nino Manfredi al top della collaborazione con Magno, scena con vestaglia inclusa, perché Magni non la nega a nessuno, neanche a Johnny Dorelli in State buoni se potete. Particina pure per Ron, col suo vero nome Rosalino Cellamare.

Un cinema come non se ne fa più, popolare e raffinato che, come le lezioni di Barbero, divulga raccontando e insegna senza spiegare. Cosa che non si può dire del suo remake televisivo del 2012, L’ultimo Papa Re, non tanto per Gigi Proietti e Lino Toffolo che ereditano i ruoli di Manfredi e Bagno, ma per l’irritante format televisivo che toglie i chiaroscuri ai personaggi, dipingendo i buoni e i cattivi con uno schematismo da bambini dell’asilo, perché parafrasando il grande Nino, già a tre anni ci mettono malizia.

Buona visione.


(Enrico Corso autore dei libri La Scala Di Vetro e Nero Come L'Arancio)

Trailer


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