La Casa Dei Fantasmi: Recensione Del Film



Regia: Justin Simien


Antefatto: vacanza a Londra, patria dei musical. Chiedo alla mia signora se ce ne vogliamo concedere uno, fra un fish’n chips e un gin tonic. Why not? Perché scopriamo che il costo dei biglietti nei teatri londinesi va dal prezzo di una vacanza a quello di una cena al pub, quindi sapete che c’è? Si opta per un cinemino, magari un’anteprima, qualcosa di non ancora uscito da noialtri. La scelta è fra Oppenheimer e la Casa dei fantasmi. Siccome non abbiamo ucciso nessuno per sorbirci tre ore di Original Nolan, facciamo i nostri bravi biglietti (rigorosamente automatizzati e by credit card only, sperando che proprio quella sera la carta non raggiunga il limite mensile) per la Haunted Mansion targata Disney e ci infiliamo in questo grazioso salottino multisala, fra (pochi) autoctoni che sgranocchiano bidoni di tacos con salsine e sorbiscono ettolitri di bibite, oppure si accoccolano sulla poltrona come se fossero sul divano di casa. Buio in sala.

New Orleans. Ben Mathias (Lakeith Stanfield) è un astrofisico che ha progettato una macchina fotografica per fantasmi. Nel cuore però ha un buco nero, perché l’amata moglie Alyssa è morta e lui per campare fa la guida scazzata nei ghost tour. Ma un giorno bussa alla porta Padre Kent (Owen Wilson, perfetto nel suo look prete da marciapiede) a chiedergli di venire a fotografare i fantasmi a Gracey Manor, dove Gabby (Rosario Dawson) e figlio vorrebbero aprire un Bed & Breakfast. Dapprima scettico Ben scoprirà che i fantasmi ci sono eccome…


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A volte ritornano. A vent’anni dal primo film omonimo (che mi era anche piaciucchiato, sarà stato per la presenza di Terence Stamp), Disney ci propina un secondo adattamento sull’attrazione dei suoi parchi, la Haunted Masion che palesa il film per quello che è: un luna park che tanfa di zucchero filato nero e pop-corn fin dalla prima scena (amplificato dalla sala). E ti chiedi perché.

Il progetto era nel limbo delle produzioni già da un decennio, con tanto di licenziamento di Guilliermo del Toro alla regia, ma non so se con Disney a produrre il nostro avrebbe potuto usare la sua poetica. Comunque, era esattamente ciò che mi aspettavo, un baraccone colorato, fatto di tanti carnevaleschi, corridoi che si allungano a dismisura per farti inseguire da spettri armati di accetta, luci colorate che non capisci se è carnevale o Halloween e una spolverata di guest stars o vecchie glorie che possono risultare gradevoli – Jamie Lee Curtis, nel ruolo della testa nella sfera di cristallo - oppure straniti come Danny DeVito che recita pensando all’assegno.

La giostra dura due orette, per piccoli brividi, dai cinque a sette anni, perché a otto ci mettono già malizia e guardano La Cosa di Carpenter. Senza tacos e salsina.

Colorato e dimenticabile.

Buona visione,

Enriorso

(Enrico Corso autore dei libri La Scala Di Vetro e Nero Come L'Arancio)


Trailer





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