Fabrizio De Andre’ e PFM – Il Concerto Ritrovato



Regia: Piero Frattari, Walter Veltroni

Ai primi del’79 parte questa strana tournée con l’accoppiata Faber + PFM. Ma come, proprio lui si svende a dei rockettari scalmanati? E loro si accompagnano al più introverso dei cantautori?

E’ crisi. Poi, quando escono i due dischi live è gioia; accoppiata vincente.

In realtà l’operazione nasce dal ritrovarsi a pranzo, Faber e i compagni d’arme della PFM, già session men dell’album del cantautore La buona Novella, dieci anni prima. Lui sta pensando di appendere la chitarra al chiodo e ritirarsi a vita agreste e bucolica in Sardegna, ma il destino gli offre la possibilità di rinnovarsi con questo tour: la PFM si occupa degli arrangiamenti, procurando nuove vesti al repertorio di Faber, lui ci mette la voce. Faber nicchia, ma poi si butta nell’avventura assieme a varie bottiglie di whisky per smaltire la sua nota paura del pubblico.

Finora avevamo solo i due dischi dal vivo per cogliere la magia di questa collaborazione, sognando (almeno io) “Ah, come sarebbe stato bello poter vedere e rivivere quell’esperienza”. A quarant’anni di distanza vengo accontentato, quando annunciano il ritrovamento del filmato della data del 3 gennaio 1979 al Palasport di Genova, creduto perduto. Così, coinvolto Franz Di Cioccio, batterista della PFM e tutto il comparto eredi di De André, possiamo finalmente calarci nei panni di uno spettatore dell’epoca e tralasciare i due album live che ne sono derivati. Avvertenza numero 1: i pezzi sono così stravolti che per riconoscerli bisognerà aspettare la prime parole. Avvertenza numero 2: la qualità delle riprese è quasi da bootleg criminale. Faber, infatti, non voleva essere ripreso da telecamere, ma quella volta pur facendo un’eccezione, pose dei diktat al regista Piero Frattari: una sola cinepresa e che non si facesse troppo “sentire addosso”.                              

 

Così abbiamo l’obiettivo che zooma su Faber e scivola nell’unica angolazione possibile sul resto del gruppo. Di Cioccio non si vede mai, - e da batterista mi spiace non poterlo vedere in azione - a parte qualche tamburo che sporge, ma lo si sente pestare e tanto basta. Veltroni invece confeziona la prima parte del docu-film, dove i componenti della PFM e Dori Ghezzi raccontano qualche aneddoto su quella tournée, e ingentilisce la qualità del concerto facendo scorrere i testi autografi man mano che Faber canta.

Una cornice sonora ci introduce a Marinella, trasformando la marcia funebre in 4/4 in una favola in 6/8, dove la pulzella non annega ma vola in cielo, su una nuvola.

Tocca poi al cadavere di Andrea essere ripescato in versione veloce e speziata.


La Buona Novella è dove tutto è iniziato per i nostri eroi. Ma è troppo monumentale, così ci pensa la PFM a sdrammatizzare tutto sotto una cascata di watt. Il medley si apre con Maria Nella Bottega Del Falegname, che dopo il ritornello rubato alle sigle dei cartoni animati – mentre Faber dà una golata al whisky per farsi coraggio - , parte per un mondo musicale che sfocia ne Il Testamento di Tito arrangiata da vera e propria cavalcata attraverso i dieci comandamenti. Chapeau!

Tocca poi a Un Giudice dove la fisarmonica funambolica pompa nuova linfa nel culo del nano rancoroso del titolo. Applauso.

Un basso che sembra un fagotto e una batteria suonata come uno xilofono ci immergono in un momento malinconico, come la fine della storia cantata in Giugno 73.

La Guerra di Piero ci rinfresca un po'. Abbastanza fedele all’originale, giusto arricchita da un’intro simil – clavicembalo e dal violino che sottolinea la morte del protagonista e che mi fa venire un groppo in gola ogni volta che lo sento.

Arriva lo zenith dello show, il pezzo più emblematico di questo tour, Amico Fragile. Otto minuti di pura ipnosi, un loop mentale rotto da lancinanti assoli di chitarra ed eruzioni di batteria. Siamo al livello dei Pink Floyd, poco da dire.

Verranno a Chiederti del Nostro Amore, fa da dolente, ma ottimo spartiacque nella scaletta.

La seconda parte dello show tratta i pezzi tratti dall’ (allora) ultimo Lp, Rimini, giusto più irrobustiti.

Abbiamo un’indiavolata Zirichiltaggia (in sardo) di cui – come tutti - capiamo solo l’ultima frase: ponimi la faccia in culu. Seguono un’onirica Rimini ed un’ariosa Via del Campo e Avventura a Durango, cover tex-mex di Bob Dylan col ritornello in napoletano. Chiude la favoletta di Sally che sembra Lulù l’Angelo dei Fiori, ma a seconda di quanto ha bevuto, De Andrè cambia sempre una strofa: “Non devi giocare con gli zingari nel bosco”, diventano anarchici o svizzeri, come sul disco ufficiale.


Siamo alle ultime battute, servono tre brani energici. Parte il primo: il moog gioca con la chitarra, si insinua un violino e…Bam! Parte la tarantella più famosa, Bocca di Rosa - fa pure rima – che sfocia in un crescendo strumentale degno di Rossini. Viene poi la trascinante Volta la Carta, introdotta da una tastiera che sembra una sirena doppler, violino tzigano e timpani martellanti.

Ed ecco il gran finale.

Tanananana-nanà-nananà! Nananaà-nannanaà-na-na! Sembra un fuoco d’artificio e invece è Il Pescatore, un dixieland solare e trascinante, chitarre a razzo, ritmica pulsante e violino che infiocchetta il tutto, così diversa dal pezzo parrocchiale a cui eravamo abituati.

Comunque, il brano ci congeda col buon umore e il fermo immagine del gruppo.

Il pubblico applaude, noi pure.

Consigliato a chi cerca del sano rock – prog e a chi vuol sfatare l’idea di De Andrè cantautore triste che parla solo di morti e reietti e che la PFM sia solo un gruppo progressive col flauto piripì.

Buona visione.


Trailer



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